giovedì, agosto 05, 2010

Visto per Shanghai 1 - Il temp(i)o delle mele

A distanza di oltre un anno e mezzo dall'ultimo post dalla terra gallica e oltre 4 dall'ultima traversata orientale eccomi compiere, novello Sun Wukong al rovescio, un nuovo viaggio verso il Paese di Mezzo. E questa volta verso quella che, negli stessi anni, fu battezzata Perla d'Oriente e Mignotta dell'Asia. Complice l'inane quanto imprescindibile periodo di stage in loco della mia dolce metà, alcuni giorni orsono, tra le mille complicazioni del caso, ho ghermito un aeromobile e mi sono ritrovato a Shanghai alle 7 del mattino di un fuligginoso sabato cinese. Una volta smaltita la sbornia del ritorno al futuro e sbrigate le formalità più impellenti (quali registrare la mia querida presencia presso il locale commissariato di polizia e, soprattutto, rimpinzarmi di tofu piccante e latte di soia degno di questo nome), è d'uopo alfin ch'io m'appresti a novellar lo debutto de lo soggiorno mio in quel di Hu. Con annessa sofferta lista di fenomeni socioculturali, alcuni già ben noti a me e a tutti i sinofili, altri meno appariscenti, che non mancarono di impressionare le mie ancora ingenue retine.

Deciso a visitare tutto quello che mi ero perso nelle mie precedenti brevi scorribande shanghaiesi, ho mentalmente stilato una bellicosa tabella di marcia a tappe forzate. Doverosa, dunque, la visita di cortesia alla casa del buon Sun Yat-sen, medico, rivoluzionario, padre del Kuomintang prima e della patria poi, nonché personcina ammodo che scriveva in un inglese oxfordiano e sapeva come andava il mondo. Insomma, neanche da mettere con quello zoticone ignorante e culturofobico dello Hunan. A riprova del fascino che tuttora esercita, fuori da uno studio di tatuaggi a Yuyuan ho persino visto, tra le foto delle opere realizzate dal locale maestro di aghi e inchiostri, quella di una spalla su cui campeggiava fieramente il baffuto faccione del Dottor Sun. Al di là della catasta di paccottiglia e l'imbarazzante scenetta di un'impassibile visitatrice che, ammirando la sciabola del Generalissimo, si è lasciata andare a chiassosi e ripetuti fenomeni di meteorismo, cito l'incontro con un taiwanese con cui ho avuto una breve ma succosa conversazione semi-sovversiva sulla figura di Chiang Kai-shek, e soprattutto quello con il locale guardiano. Costui - in seguito rivelatosi un nativo insofferente della marmaglia di villici riversatisi, a suo dire, a deturpare la sua bella città - ha prima insistito sul fatto che era assolutamente vietato fare fotografie, per poi tornare ad avvicinarmi sussurrando che stava per uscire dalla stanza e avrei potuto approfittarne per fare qualche scatto. Perfetto esempio di bonario aggiramento della regola alla cinese, che nulla ha della camorristica deregulation in cui eccellono i miei compatrioti di ogni latitudine. Il pluridecorato guardiano mi ha poi edotto su una varietà di questioni, non ultimo il fatto che le cinesi che si accompagnano a stranieri sono raramente native shanghaiesi - troppo esigenti, sempre a suo dire, per mettersi col primo caucasico che capita, per quanto prestante e/o danaroso -, bensì intraprendenti contadinotte dell'Anhui o del Zhejiang ansiose di fare la bella vita a spese altrui.

A seguire, tour de force con visita e ri-visita di tutti i templi disponibili, da quelli più sperduti e pressoché vergini al visitatore occidentale - come il Tempio di Longhua, con le sue bandierine e l'odioso e onnipresente pupazzetto dell'Expo accanto alle strisce degli ex-voto - a quelli che più pullulano di beceri turisti latini - il Tempio del Buddha di Giada. Deprecabile, ma doverosa, la mia incursione nel ristorante vegetariano annesso a quest'ultimo: mi aspettavo, e li ho puntualmente avuti, prezzi proibitivi e cucina pessima. Dal punto di vista culturale, invece, è interessante notare come metà del menù - rigorosamente vegan - riporti esplicitamente i nomi dei piatti come se fossero effettivamente a base di pesce, carne e quant'altro: per cui quelle che sono dichiaratamente "polpette di carne" in realtà sono una pappetta di funghi e tofu, e il "pesce brasato" è in realtà un blocco di tofu ottenuto con un patetico stampino a forma di carpa. Inoltre, probabilmente per mettere alla prova i fedeli ansiosi di distaccarsi dalle tentazioni terrene, le locali cameriere sono tutte cavallone snelle e ancheggianti nei loro scosciatissimi qipao. Ho avuto modo di assistere anche a un misterioso conciliabolo tra una ragazza - che per via dell'abbigliamento non vomitevole ho identificato come una cinese d'oltremare, accompagnata da due specie di intermediarie con il badge di una qualche associazione buddhista - e un monaco che, dopo aver fatto un'entrata degna del miglior Proietti al grido di "Hello, hello", nei rari momenti in cui non parlava al cellulare confabulava con le altre tre esaminando chissà che date, congiunture astrali e disposizioni geomantiche. Mi ricordava il finale di Sposerò Buddha, perdibilissima opera seconda della mignottissima (vera) scrittrice (asserita) Zhou Weihui, in cui la protagonista ha un improvviso quanto patetico afflato di spiritualità e consulta un vecchio monaco shanghaiese per ridare un senso alla sua vita dopo aver fatto con tutti i maschi incrociati nel libro quello che fa - anche sul piano dei numeri - il traforo del Monte Bianco con i TIR.

Degna di nota, poi, la mia visita al Tempio di Fazang, a due passi dagli sciccosi e pacchianissimi shikumen ricostruiti da zero e adibiti a localini trendy a beneficio di panzoni americani con grana e peripatetiche al seguito. Una visita segnata da alcuni episodi rimarchevoli: 1) per puro caso sono capitato lì proprio nel giorno del compleanno del pacioso buddha da cui prende il nome il tempio, 2) per la prima volta in Cina ho assistito all'elevamento di una multa a un riottoso conducente di motorino, 3) sempre per la prima volta ho visto cinesi sudare copiosamente (per effetto della vicinanza al braciere a 60° dove bruciacchiano gli incensi usati), dopo essere stato convinto per anni che quello della sudorazione fluviale in territorio cinese fosse un problema che affliggeva soltanto il sottoscritto, e 4) ho intrattenuto una lunga quanto spezzettata e inconcludente conversazione sui massimi sistemi (tra cui il vuoto di valori dei nati dopo l'80) con un fedele di Buddha ma soprattutto dell'altra parrocchia, il quale ogni tanto sbucava da una sala, mi diceva due parole, e altrettanto repentinamente scompariva in un altro vano profondendosi in apprezzamenti e scuse per il disturbo.

Infine, per avallare la mia parzialmente immeritata fama di noioso topo di biblioteca, confermo che uno dei pensieri che mi causavano un significativo aumento della salivazione al pensiero di andare a Shanghai era la possibilità di rimpinguare la mia collezione letteraria: peccato che anche questo progetto fosse destinato al fallimento. Le librerie (la cui reale natura di supermercati il termine cinese - letteralmente "negozio di libri" - crudamente esemplifica), infatti, presentano un'offerta ridicola nel campo della letteratura moderna e contemporanea, ragion per cui oltre metà dei libri che tuttora ricerco risulta irreperibile su tutto il territorio cittadino. E guai a commettere l'errore di chiedere informazioni a uno degli innumerevoli commessi che vagano con infruttuoso stupore tra gli scaffali, la cui esistenza non sembra dovuta ad altro se non a una politica di massiccio e per nulla oculato impiego di manodopera sottospecializzata: turbati dall'inopinata richiesta, mostrano serie difficoltà anche solo nell'identificazione dei caratteri che compongono il nome dei celeberrimi autori di cui si cercano disperatamente le opere. Del resto, è noto che in Cina è impossibile ordinare un testo momentaneamente non disponibile (servizio di base che in Italia offre persino l'ultima delle librerie della stazione ferroviaria), se non in quantità pari o superiori agli ordini normalmente piazzati dalla libreria stessa. In compenso le suddette librerie, a quanto mi si dice da qualche mese, traboccano di monografie, album fotografici, raccolte di studi, biografie più o meno ufficiali e più o meno veritiere, il tutto incentrato sulla figura di quel già citato pederasta di Chiang Kai-shek e di quella grandissima meretrice della sua consorte Song Meiling. Gran visir di tutti gli stronzi, faccia da culo olimpica, voltagabbana della più bell'acqua, ideatore di una festosa legge marziale di cui la libera e democraticissima Taiwan si è liberata in tempi tutt'altro che remoti, nonché, fino all'altro giorno, idolo polemico da sputazzare pubblicamente considerato cagion di tutti i mali (dal buco dell'ozono alle emorroidi della suocera) della RPC, costui oggi è oggetto di un'allegra rivalutazione che ai miei occhi non è che l'ennesimo patetico tentativo di dare un'altra bella lappata di natiche agli abitanti dell'isoletta al largo del Fujian. E tutto per qualche dollaro (taiwanese) in più.

Emituofo.


Playlist:
  • Heaven Shall Burn - Invictus (Iconoclast III)
  • Kingdom of Sorrow - Behind the Blackest Tears
  • Le Orme - Felona e Sorona
  • Lamb of God - Wrath
  • Emerson, Lake & Palmer - Pictures at an Exhibition

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