venerdì, agosto 13, 2010

Visto per Shanghai 2 - Dove osa l'Imodium

Miei fidi discepoli, nel dì odierno ho finalmente finito e consegnato una serie di odiose traduzioni non retribuite. Mi affaccio ordunque a nuova vita, e celebro la lieta nuova stringendo nella sinistra un mastodontico bicchiere di yeguo naicha, ovvero un orrido beverone ghiacciato a base di tè e latte al vago aroma di cocco, con fondo di sfere gelatinose da risucchiare a mezzo cannuccia da un centimetro di diametro. Trattasi della bevanda più rivoltante che abbia assunto da mesi a questa parte, eppur la suggo con sopraffina voluttà. Ed è nel mezzo di quest'estasi tropical-fenolica che m'accingo, deh! A proseguir delle mie memorie in quel del Catai l'inane stesura.

Il fine settimana trascorso mi ha visto protagonista pressoché inconsapevole di una scampagnata - è proprio il caso di dirlo - nell'entroterra della ridente cittadina portuale di Ningbo, a 3 orette e passa di strada a sud di Shanghai. Il mezzo d'elezione per la suddetta gita era costituito da un pullmino a noleggio in cui hanno preso posto la bellezza di 13 persone, compreso il sottoscritto ed escluso l'autista, legate da parentele più o meno strette alla mia dolce metà. Il primo giorno è stato dedicato alla visita a una zia au fin fond della campagna locale che ci ha accolti in pompa magna, con conseguente e graditissima ingozzata di svariate tipologie di cucurbitacee coltivate in loco, nonché di semi di girasole i cui gusci sputazzai ai quattro venti. Al di là della calorosissima accoglienza resta l'inevitabile imbarazzo, dopo ore e ore di viaggio in mezzo a un drappello che si esprimeva soltanto in shanghaiese stretto - e il conseguente sprofondamento del sottoscritto nella sgradevole situazione in cui gli era impossibile non dico essere padrone del proprio destino, ma almeno intuire che cazzo gli succedeva intorno - di trovarsi sbalzato in mezzo a persone che con ogni probabilità non avevano mai visto un bianco in vita propria. Per non parlare di un bianco con la coda. Quanto a caudati di altre specie, invece, da notare il sovrappopolamento canino della suddetta campagna, in cui evidentemente - prova ne sia l'età avanzata dei suddetti esemplari - il consumo di carne di Fido non è più in gran voga.

Il secondo giorno, invece, è stato interamente consacrato a una visita a Xikou, monumentale complesso incula-turisti nelle vicinanze. Malgrado l'entusiasmo dei miei compagni di viaggio, ahimè, sapevo fin dall'inizio che non avrei visto niente di nuovo sotto il sole. Trattavasi infatti della tipica meta per cui vanno inspiegabilmente pazzi i cinesi, ossia un'accozzaglia di asserite bellezze naturali e vestigia storiche: finte montagne lastricate di cemento grezzo, per una buona metà costellate di stagni artificiali, padiglioni costruiti da zero e patetiche cascate contornate di calcestruzzo. La particolarità di Xikou, tuttavia, sta nella sua natura di eremo - liberamente scelto o liberamente coatto - di alcuni tra i pazzi sanguinari più eminenti della recente storia repubblicana, tra cui Zhang Xueliang e il già più volte citato Chiang Kai-shek con consorte baldracca al seguito. Quest'ultimo, addirittura, vanta in loco i propri natali: fanno pertanto bella mostra di sé, disposti lungo un percorso naturale al cui confronto il Pirellone sembra il Parco del Gran Paradiso, la casa in cui l'infame si ritirò a godere momentaneamente delle gioie della vita del letterato d'altri tempi, la casa in cui l'infame venne infaustamente alla luce, la bottega in cui i genitori dell'infame esercitavano la professione di mercanti di sale, la casa in riva al fiume in cui il figlio smidollato dell'infame risiedette brevemente, la scuola fondata per volere della madre dell'infame prima di levarsi dalle spese, e quant'altro. Il tutto corredato da agiografia fotografica e didascalie altisonanti in cui si esaltano i meriti della suddetta combriccola e - udite udite - la loro "comprensione verso le sofferenze della popolazione". Il tutto fa il paio con l'ondata di revisionismo deretanoleccatorio di cui ingenuamente mi meravigliavo la volta scorsa. Non serve essere storici di professione per sentirsi le budella rintanarsi nel tratto finale del crasso.

A proposito di budella, l'unica cosa che mi ha lasciato davvero questa gitarella fuori porta è stato un improvvido e squassante fenomeno dissenterico, ovvero il primo vero cagotto della mia storia di visitatore dell'Impero di Mezzo. Resistendo stoico alle sirene dei molti che mi scongiurano di scendere nei particolari, dirò soltanto che nemmeno oggidì, a quasi una settimana di distanza dall'inizio delle ostilità - e dopo giorni e giorni di incursioni latriniche degne dell'Enola Gay più agguerrito - il morbo sembra essere stato debellato.

Un paio di giorni orsono ho avuto l'asserito privilegio di assistere al concerto dell'Orchestra Sinfonica di Basilea presso l'Oriental Art Center, sito in quell'ex terrain vague ora tappezzato di grattacieli - e di ogni genere di costruzioni, purché obbediscano a rigidi criteri di schifo e artificialità - che è Pudong. La mia presenza, più che da melomania o simpatia per gli abitanti della confederazione elvetica - oltre a una cioccolata immeritatamente famosa e agli orologi a cucù non mi pare abbiano dato chissà che contributo alla civiltà globale - si spiega con la necessità di non lasciare vuoti i posti nella zona "super VIP" della platea, circostanza che avrebbe irritato non poco autorità, organizzatori e soprattutto esecutori. Onde per cui mi sono ritrovato omaggiato di un biglietto dal prezzo originario di ben 1280 yuan (e poi chiediamoci perché 3/4 dei biglietti siano rimasti invenduti) da parte dell'agenzia cui la mia dolce metà si umilia a offrire i propri mal retribuiti servigi, nonché maldestra organizzatrice dell'evento in questione. Ho dunque potuto assistere a un concerto ovviamente di alto livello, se escludiamo 1) l'ingresso sulla scena di quattro clown provvisti di ammennicoli vari al suono di un'imbarazzante motivetto che il direttore aveva annunciato come "from our country, from Switzerland, a very famous march", e 2) il gran finale con l'esecuzione dell'iper-inflazionata "Molihua", che naturalmente ha provocato uno scroscio di applausi da parte degli astanti di etnotipo sinico da far venir giù tutta la baracca.

Tutto questo mi ricorda che nella precedente puntata dimenticavo colpevolmente di citare un episodio simile, protagonista una cantante spacciata per sublime ma al sottoscritto - in buona compagnia - del tutto oscura. E, quel che è peggio, appartenente alla deprecabile categoria dei cantanti lirici prestati al pop, al pari di certi videolesi barbuti e compagnia gorgheggiante. Presentatomi al concerto con il mio onesto biglietto omaggio e l'unica mise poco più che guardabile di cui disponevo - ovvero jeans, camicia bianca rigorosamente pezzata per i 39° e scarpe nere - mi sono ben presto avveduto che in confronto a buona parte del pubblico avrei potuto fregiarmi del titolo di arbiter elegantiarum. Dirò solo che non mancavano cinesi in ciabatte, braghette corte e magliette tipo gruppo rock. La performance, poi, si è rivelata forse la più imbarazzante cui abbia mai avuto la sventura di assistere: la pettoruta tenoressa si è fatta strada attraverso un repertorio da avanspettacolo, che accostava pezzi di Sting e arie d'opera addomesticate per un pubblico di capre cinesi e di occidentali annoiati con baldracca asiatica troppo truccata al seguito. Il tutto tra le irritanti moine di un'ex cantante di coro di chiesa, conscia del fascino esercitato sui maschi cinesi di ogni età: durante una delle ripetute discese della suddetta dal palco per mescolarsi alla folla, un tizio di mezza età a cui aveva dato la mano non la mollava più. Gli astanti dagli occhi a mandorla vanno in visibilio quando la piaciona ringrazia "grazie... denghiu... scè scè". Degna conclusione, il finale all'insegna del trash più macabro: sulle note di "Nessun dorma", duetto virtuale con il defunto panzone barbone dalle sopracciglia tinte, e scroscio di applausi dedicati alla "wonderful voice" annunciata nella presentazione del pezzo. Il tutto reso possibile dalle meraviglie della tecnologia, che permette di rompere il cazzo anche a chi - per quanto odioso e repellente - se ne sta beato nell'oltretomba, coinvolgendolo in collaborazioni artistiche né approvate né oneste sul piano intellettuale. Ma tant'è, dai ai gialli quel che i gialli vogliono. E ora e sempre rallegriamoci: è anche grazie a gente così che nel mondo gli italiani sono tanto apprezzati. Per i motivi sbagliati.


Playlist:
  • Gotan Project - Tango 3.0
  • Il Rovescio Della Medaglia - Contaminazione
  • Le Orme - Uomo di Pezza
  • Musica Antiqua - Medieval and Renaissance Minstrels, Songs and Dances
  • Iron Maiden - Killers

1 commento:

Marco ha detto...

Laudato sii, Paole, tu quoque, fili mi, moriturus te saluto, dum Romae consulitur Saguntum expugnatur, per lo gratissimo ritorno!
E lunga vita all'Imodium, negli ultimi anni l'unico vero amico di cui mi sia potuto fidare (mi verrebbe da aggiungere "non come tutti gli altri stronzi" ma sarebbe davvero troppo...)!
Attendo con trepidazione la terza puntata, dopo essermi voluttuosamente goduto le prime due.
Tibi mitto navem prora puppique carentem (la soluz. a p. 46)!