lunedì, novembre 10, 2008

Ma parla come magni... vabbè, meglio di no.

Io voglio bene ai francesi. Davvero. Li ammiro perché qui al TG la prima notizia non riguarda mai l'ex soldatino della Hitlerjugend asceso al soglio pontificio; perché "Resistenza" non è una parolaccia ma qualcosa su cui persino i destrorsi non si sognerebbero mai di fare commenti pubblici meno che rispettosi; perché hanno smesso ormai da un pezzo con la menata del debito inestinguibile che l'Europa avrebbe con gli USA da una sessantina d'anni a questa parte; e perché le ragazze con gli stivaloni e il nasino all'insù non ti prendono per uno stupratore se rivolgi loro gratuitamente la parola o un innocente sorrisetto. 

Adoro i francesi anche perché hanno dato all'umanità alcuni tra i più brillanti critici letterari e un buon numero di teorici della traduzione con le contropalle; perché pubblicano centinaia di libri e riviste sulla Cina di cui il 95% è roba seria e il 5% cazzate, mentre in Italia la proporzione è rovesciata; perché dal cinese e dalle altre lingue del cazzo traducono tutto il traducibile e gli editori non solo accettano proposte ma addirittura le incoraggiano, salvo poi lamentarsi che non si fa ancora abbastanza; e perché la baguette con la nutella è una delle cose che immagino più vicine al paradiso in terra.

L'amore, tuttavia, non mi ha ancora reso del tutto cieco. Per questo non posso fare a meno di notare ogni giorno come questo popolo, oltre che meraviglioso e degno della più sincera ammirazione, possa essere anche sconfortante, fastidioso, disgustoso, ripugnante e in ultima analisi spregevole. A costo di essere tedioso e ripetitivo, faccio notare che i discendenti di Astérix danno il peggio di sé in due campi che, per mia sfortuna, sono proprio quelli da cui dipende in larga parte il mio giudizio sul prossimo: il sapone e il piatto.

Procediamo con sano metodo deduttivo. Io credo di non aver mai visto così tanta sporcizia e merda di cane come sulle strade di Francia, e naturalmente le cose più turpi avvengono qui nella bassa. Prendendo quindi Aix come degenerazione del concetto di spargimento indebito di feci - spero solo canine, anche se non ci giurerei - se ne possono ammirare di tutte le sfumature, consistenze, forme e dimensioni, in ogni angolo e su ogni superficie, su ogni avenue e in ogni vicoletto, seminascoste o tronfie e fiere della propria sterchitudine, in uno spettro di compressione che va dalla perfetta integrità - "just out of your dog's ass", direbbe la pubblicità - allo spalmamento in senso longitudinale, a riprodurre il percorso della calzatura immediatamente successivo alla percezione del calpestamento di una scoria estranea. 

Discutevo della faccenda - trattasi infatti di ottimo soggetto di conversazione - con il mio sovrastante vicino barese, il quale asserisce che nemmeno a casa sua ha mai visto una tale inciviltà. E se è vero anche solo un decimo di quello che sostiene il maestro Pizu 屁祖 a proposito dei concittadini di San Nicola (per esempio che nascono con la fedina penale già sporca), questo dovrebbe dare un'idea della situazione. Resta il fatto che qui la già di per sé meschina categoria "padrone di cane" ignora carrément la pratica del raccoglimento delle deiezioni canine, e non vedo margini di miglioramento. D'altro canto mi sembra illusorio sperare che un animale ottuso come il cane recuperi millenni di mancata evoluzione e impari una buona volta a sotterrare la cacca, come da sempre è pratica corrente tra la superiore razza felina.

Viste le premesse, il passaggio al funesto piano dell'igiene personale e privata non può certo - ahimè - riservare piacevoli sorprese. Vi basti sapere che uno dei principali motivi di sollievo che hanno accompagnato il mio trasloco dall'ostello della gioventù è stato il pensiero di non dover più prendere l'autobus. Se già di per sé si tratta di un ambiente lercio, maleodorante e ad altissimo rischio di infezione, nei bus locali disgusto e pericolo sono per lo meno centuplicati: il mezzo, infatti, è costantemente pervaso da un pungente fetore di minestra, casermaggio e traspirazione che tradisce - oltre allo scarso uso di detergenti da parte della cooperativa addetta alla pulizia - il conflittuale rapporto che intrattengono gli utenti con i prodotti per l'igiene personale.

In un paese meravigliosamente variegato come la Francia, è interessante notare come ciascuno, a seconda dell'età, dell'appartenenza etnica, dello stile di vita ecc. abbia un modo tutto suo di offendere le mie delicate narici. C'è chi, per fattori indissolubilmente legati al proprio DNA, è portato a secernere un afrore costante e ineluttabile; ma c'è anche chi, non essendo stato dotato da Madre Natura di tale affascinante qualità, si sforza, riuscendovi peraltro egregiamente, di colmare l'imperdonabile gap con la rinuncia stoica e ad oltranza - una forma di penitenza? - a qualsivoglia tipo di detersione personale. Naturalmente il bus è un caso limite, ma in altri luoghi destinati alla vita sociale - un esempio per tutti, la biblioteca - le cose non vanno affatto meglio. 

E se questo è il trattamento che viene riservato al proprio corpo, figuriamoci a quale triste destino vanno incontro gli elementi che al corpo sono estranei, come indumenti o locali domestici. Io che mi faccio dei problems a mettere due giorni di fila la stessa maglia sono sicuramente un po' fissato, ma ho visto coi miei occhi uno dei miei co-camerati dell'ostello portare ininterrottamente per 10 giorni la stessa maglietta della salute (come so che era sempre la stessa? Semplice, era riconoscibile dalla macchia marroncina in corrispondenza del fegato) e lo stesso maglioncino. E, a giudicare dall'olezzo, senza mai passare per la laverie. Non vedo il tipo da una decina di giorni, ma sarei pronto a giurare che la sua mise non è cambiata di una virgola. 

Dello stato in cui ho trovato il mio appartamentino asseritamente pulito con tanto amore dalla padrona ho già raccontato, e non voglio rivivere quel dramma. Dico solo che tutti quelli che sono entrati in casa mia sono rimasti a bocca aperta vedendo quella che per loro è una pulizia che ha del soprannaturale. Sarà perché si distingue il bianco delle piastrelle? O perché sul pavimento della cucina non figura la tipica incrostazione data dallo sfregamento tra acqua fuoriuscita dal lavandino e ciabatta con residui terrosi? O forse ancora perché il telo che ricopre il sofà - il primo oggetto a finire in lavatrice senza tanti complimenti - non presenta le abituali macchie di cibo e concrezioni di varia natura dovute al deprecabile vizio di nutrirsi stravaccati sul divano?

Questa ultima osservazione mi dà il destro per passare alla seconda categoria dello spirito in questione, ovvero l'atto del cibarsi analizzato nel suo oggetto e, soprattutto, nel suo soggetto.

Sull'oggetto non sprecherò troppe parole. Non fatevi ingannare dall'invitante pain au chocolat che vedete in panetteria: che i francesi per lo più mangino quella che non esiterei a qualificare come "merda" è un fatto ineluttabile. Anche tralasciando rane, lumache et similia, è difficile per uno come me, educato sui classici e sulla simmetria prassitelea, trattenere un moto di repulsione alla vista di piatti in cui due tre o più pietanze vengono accatastate l'una sull'altra, senza riguardo per la natura propria di ciascuna e per le più elementari esigenze di apartheid alimentare. E così uno strato di pasta scotta, insipida e malaticcia sostiene un pavé di salmone su cui troneggia un'inutile spicchio d'arancia, mentre una slavina di ratatouille pervade, con la sua infame e sbrodolante salsa, ogni interstizio della struttura, rammollendo ulteriormente quella parvenza di mezze penne e spogliando di ogni interesse l'esemplare ittico scandinavo. 

Per non parlare delle spesso irriconoscibili - ma non per questo meno disgustose - salse e salsine da cui è impossibile liberarsi, che si prenda un sandwich al volo ("maionese o aceto?"), che si compri una bistecca di soia (la bustina di tartara è inclusa nella scatola) o che si faccia uno strappo alla regola concedendosi una vaschetta di patatine (quando le chiedo "nature", l'enculé me le annega nella sauce blanche). E non è un problema solo della Provenza, che anzi da questo punto di vista è un'isola felice... mai in vita mia - nemmeno in Inghilterra, in Germania o in Austria, che prima consideravo le ultime frontiere del cibo spazzatura - ho mangiato male come a Bordeaux, a Parigi, a Nantes, a La Rochelle, a Lione, roba da alzarsi e lasciargli lì il piatto intonso. Se è innegabile che per mangiare qualcosa di decente bisogna ricorrere ad arabi o musi gialli, beh, allora siamo a cavallo. Ma accettare l'idea che, agli occhi del mondo intero, la Francia ci faccia le scarpe in cucina è qualcosa che trascende le mie misere capacità intellettive. 

Tuttavia, come accennavo poc'anzi, i problemi non sono soltanto legati al cibo in sé, bensì in larga parte ai suoi abituali fruitori. Ora, ammetto di essere alquanto schizzinoso e suscettibile in materia di rumori di suzione/triturazione emessi in fase cibatoria, di apertura continuata e indebita delle fauci durante l'operazione di masticazione e, in generale, di pratiche moleste legate alla consumazione di vettovaglie. Eppure gli individui cui, mio malgrado, sono costretto a mescolarmi mi sembrano spalancare nuovi e inattesi orizzonti alla maleducazione militante.

Tanto per cominciare, è pratica diffusa la mancata chiusura di mascella e mandibola nel pieno della fase masticatoria, accompagnata a ogni abbassamento da un regolare - ma non per questo meno repellente - schiocco liquido della lingua, che rimesta a mo' di betoniera quello che diventerà presto chimo, poi chilo e bolo, e uscirà infine a riveder le stelle. Non pago/a di produrre questo frastuono, l'esemplare intrattiene regolarmente conversazioni condite da sonori accessi di riso, che proiettano nell'aere particelle di natura varia e di consistenza semisolida. Dopo lunga riflessione, mi sono detto che deve trattarsi per forza di studenti di medicina che offrono gentilmente ai compagni di studi l'opportunità di ripassare - peraltro con dovizia di particolari - l'anatomia di cavità buccale, esofago e bocca dello stomaco nel pieno dell'azione.

Un altro dettaglio che non può mancare di affascinare l'antropologo, o meglio il paletnologo, è l'uso del tutto singolare che viene fatto in Francia di forchetta e coltello. Invece di essere delicatamente trattenuti tra pollice e indice come da sempre viene insegnato, almeno limitatamente al genere umano in senso stretto, i suddetti strumenti vengono impugnati con forza e maneggiati con rabbiosi scatti degli arti anteriori, prima di trafiggere il boccone e portarlo maldestramente alla cavità orale. Questo uso delle posate a guisa di rudimentali utensili di ossidiana non può trovare altra spiegazione se non l'assenza, negli specimina in questione, del pollice opponibile. Evidentemente l'evoluzione può attendere.

Gli sconfortanti risultati di questa involontaria field research mi hanno portato a rivedere con occhio quantomeno critico gli ammonimenti che mi venivano rivolti da quella santa donna di mia madre negli anni dell'infanzia allorché, di fronte a gomiti sul tavolo, masticazione en plein air e rumori molesti, sosteneva che al desco del fantomatico Conte di Parigi sarei stato cacciato a suon dei proverbiali calci in culo. Non solo tali ammonimenti hanno avuto l'effetto sperato, ma per giunta ho trascorso la mia infanzia in attesa di recarmi Oltralpe e toccare finalmente con mano la raffinatezza e la classe sopraffina che mi erano state così vividamente raffigurate. Cocente delusione.


Playlist
  • Black Sabbath - Sabbath Bloody Sabbath
  • Elio e le Storie Tese - Eat the Phikis
  • Uriah Heep - Very 'eavy Very 'umble
  • Crowbar - Sonic Excess in its Purest Form
  • Cream - Wheels of Fire
  • Soundgarden - Superunknown

4 commenti:

Anonimo ha detto...

"io credo di non aver mai visto così tanta sporcizia e merda di cane come sulle strade di Francia, e naturalmente le cose più turpi avvengono qui nella bassa."

Dovresti vedere allora le strade di Lecce....
屁祖

Paolo 保羅 ha detto...

Eh sarà, ma hai visto che sei sempre citatissimo? Tutto ciò non titilla i 30 cm del tuo Io?

Marco ha detto...

"Ma accettare l'idea che, agli occhi del mondo intero, la Francia ci faccia le scarpe in cucina è qualcosa che trascende le mie misere capacità intellettive."

Ti cito anch'io, come non condividere questa tua sconsolata analisi...
Nei miei mesi a Parigi, dopo aver visto le merdate che cucinava la mia padroncina di casa e aver cercato sollievo nei prodotti alimentari venduti nei supermercati (pessima scelta), quando andavo dal mio kebabbaro anatolico di fiducia - un turco credo fuggito dalla Turchia perchè colluso con i Lupi grigi, almeno la sua simpatia questo lasciava indovinare - e mi vedevo porre davanti il gustoso panozzo riempito di carne e patatine fritte (da provare), per la commozione di trovarmi di fronte a qualcosa di commestibile e relativamente gustoso, quasi mi veniva da apparecchiare la tavola...

Anonimo ha detto...

Vorresti dire il mio metro di giudizio?
Grazie, per le citazioni! La prossima volta scriverai 屁曰? ;)

屁祖