martedì, marzo 11, 2008

Noi non siamo umani e tu lo sai, stare in casa è qualcosa di, di spettacolaaaa-reeeee!

La notizia del giorno - quello in cui scrivo, non quello in cui le vostre retine verranno impressionate da questi caratteri neri su sfondo chiaro... il décalage è minimo ma c'è - è che, magna cum laetitia mia e di quelli che mi pagano per scaldare un banco, ho iniziato a scrivere la tesi. E' successo tutto così in fretta (ma non è quello che dicono anche certe fanciulle che scaricano il malcapitato dopo avergli coscienziosamente ispezionato l'esofago a mezzo prolunga carnea semovente?).

Mi aggiravo nella biblioteca della facoltà con infruttuoso stupore, cercando di ritrovare i miei points de répère dopo anni di assenza, e... sarà stata l'atmosfera così raccolta, sarà stata la commozione del tempo ritrovato, sarà stato - più probabilmente - che non trovavo da nessuna parte la macchinetta del caffè, gli è che sono stato subitaneamente colto da uno stimolo che credevo in me ormai sopito, anzi defunto: la voglia di sbattermi. Mi sono tosto circondato di un muro di tomi più o meno voluminosi per favorire l'ispirazione... ed eccola scendere come la fiammella del santo ispirito sulla capoccia degli apostoli (per inciso, occasione in più per dare voce al mio astio antireligioso: a una sporca dozzina di villici gli scende in testa la fiammella e zac! Parlano tutte le lingue e se ne vanno in giro pel globo a diffondere il Verbo - il verbo "intortare"?. Ma che cazzo di discorsi sono? Eh no, troppo facile! E a noi che dopo anni e anni passati a sudare su quelle linguacce fetenti ancora viviamo di espedienti chi ci pensa?). Paulo post avevo già prodotto tre paginette (interlinea singola, eh) in un infiorettato vernacolo franzoso. Insomma, le premesse mi pare ci siano. Anche se naturalmente nulla impedisce di pensare che già domani, leggendo quello sbrodolamento di ovvietà, diventerò vermiglio sicut peperone e scaglierò tutto (virtualmente) al cestino.

Conclusa questa divagazione, vorrei dedicare la puntata odierna alla descrizione di alcune delle intriganti attività che si svolgono tra le mura domestiche, il cui fascino discreto ma fatale fu colto e magnificamente descritto dal signor Bugo nell'inno generazionale Casalingo. Come parecchi ex "studenti che studiano" fuori sede hanno esperienzato - passatemi un anglicismo prodotto lì per lì - la fine dell'università propriamente detta corrisponde normalmente con un ritorno all'ovile, leggi tetto genitoriale: un'esperienza spesso traumatica per chiunque abbia trascorso quattro-cinque (ma in alcuni casi si parla tranquillamente di numeri a due cifre) anni di completa autogestione spazio-temporale, iperattività sessuale e smodata assunzione di prodotti della terra, di distilleria e di laboratorio.

Per quanto mi riguarda, il mio trauma non è legato a una supposta (ahi!) limitazione della libertà personale - in questo i miei sono dei santi - quanto a una sensazione di abbrutimento e involuzione originata dall'impossibilità di gestire autonomamente le appassionanti faccende di casa, in primis l'attività culinaria. Se fino a qualche anno fa potevo aspirare al titolo di Vissani di Via Giulia, uno sperimentatore da far invidia a Filippo Tommaso Marinetti, ora le comodità e il drammatico fenomeno del "trovo-già-tutto-pronto-e-allora-chi-cazzo-me-lo-fa-fare-di-sbattermi" hanno fatto sì che a malapena mi ricordi come si fa un ovetto al tegamino. Ecco perché ogni mio soggiorno in terra straniera - in mezzo ad altri ben più immediati benefici - è segnato da un repentino innalzamento del livello di benessere e di autostima, risorti come l'araba fenice in mezzo a placche elettriche e frighi gonfi di una spesa gestita in compiuta e solitaria autonomia.

Sono in questa casa solo da giovedì e già non so più dove mettere le vettovaglie. Lo spazio non è molto, è vero, ma la quantità di cibarie di cui mi sono prontamente provvisto è obiettivamente esagerata. Il problema, come facilmente si può arguire, sta nel fatto che il livello di appagamento conseguente alla preparazione di un piatto è direttamente proporzionale alla quantità e alla complessità degli ingredienti necessari per preparare il piatto in questione. In altre parole: per preparare una frittata basta un uovo, ma se a preparazione conclusa vi invade un impagabile senso di soddisfazione per l'impresa compiuta dovete andare a farvi vedere da uno bravo. Viceversa, le ricette che sto faticosamente riprendendo nel corso delle mie solinghe serate mi lasciano un gran sorriso ebete stampato sulla faccia, ma ho dovuto fare quattro giri di spesa solo per procurarmi l'essenziale; senza parlare, per l'appunto, dei problemi che si presentano al momento della stivatura. "Se sei casalingo ami il fuoco del fornello come me, ti alzi e poi ti svegli col granchio nel cervello come me!"

Al fine di dare un'idea più precisa della drammatica situazione sarebbe d'uopo che queste righe fossero corredate da ampia documentazione fotografica. Purtroppo però non ho con me la macchinetta - mi seguiva fedele fin dalla mia prima avventura a Hong Kong nel 2005, sigh! - rimasta a casa per essere ignominiosamente impiegata come registratore vocale da consanguinei senza scrupoli. Senza fotografie, ahimè, verrà pertanto meno la barthesiana funzione di ancrage tra visuale e scritto, ben nota ai semiologi dell'immagine e tanto cara alla mia safficissima prof di francese della SSLMIT.

Nessuna delle decine di case che ho visitato mentre davo la caccia a un tetto presentava traccia di lavatrice; del resto le numerose laverie automatiche di cui pullula la città svolgono egregiamente la stessa funzione detersiva per una manciata di spiccioli. Ma come descrivere l'ascetico senso di raccoglimento che si prova quando si lava a mano? Mentre mi inebrio della fragranza dell'ammorbidente mi lascio cullare dallo sciabordio dell'acqua nella bacinella, e comprendo finalmente il senso della parola "purificazione" - anche se mi pare che Miloševič l'abbia capito meglio. E potrei forse permettermi di rinunciare a questa nobile voluttà, quando uno dei prodotti tipici della zona è proprio il rinomato sapone di Marsiglia (benché, come chiunque può facilmente notare, ampia parte degli autoctoni non sembri essere al corrente dell'esistenza di qualsivoglia prodotto basico in grado di legarsi alle molecole di grasso innescando il processo di lipolisi)?

Così, tra cenette faticosamente cucinate su due piastre elettriche, calzini in fila ordinata come un plotone di esecuzione messicano, qualche flessioncina giusto per evitare che i pettorali mi diventino "a rientrare", pavimenti lucidi grazie al proverbiale olio di gomito e altre domestiche amenità, le serate mi offrono ore liete come i biscottini da tè.

E, già che ci siamo, ripristiniamo la cara vecchia abitudine della colonna sonora:

  • Bugo, Dal lofai al cisei
  • The Hives, The Black and White Album
  • Alabama Thunderpussy, Open Fire
  • Spiritual Beggars, Mantra III
  • The Wombats, Girls, Boys and Marsupials
  • The Disco Drive, What's Wrong with You People?

Nessun commento: