sabato, marzo 29, 2008

Lou Cigaloun, Les Bernardines e un'esistenza votata al fiasco

Come annunciato nel precedente breve testo (altresì detto, con un latinismo apocrifo, "testicolo"), le mie fulminee vacanze pasquali - quelle vere iniziano il 5 aprile e durano un paio di settimane - hanno visto la discesa in terra acquasestina dei miei, armati di brande per la notte e di un intero bagagliaio di generi di conforto, tra cui spiccavano una colomba pasquale, una gubana, svariate confezioni di Biraghini, il pacchetto onnicomprensivo caffettierina+caffè, plurimi vasetti di pesto, peperoncino e un fiasco di Chianti a completare la censurabile immagine dell'emigrante italiano. Notavo tuttavia, con un certo disappunto, l'assenza di un'effigie di Pulcinella con pentolone di spaghetti, golfo, Vesuvio e pino marittimo, ma soprattutto delle tipiche corone di teste d'aglio che, oltre ad essere simbolo indiscusso dell'italiano nel mondo, fanno arredo come ben poche altre suppellettili.

Dopo una sera di acclimatamento - la zona, e soprattutto la feccia che la infesta, necessita di una fase di adeguamento degli organismi non adusi - il primo giorno, alias sabato, è stato dedicato alla visita del tanto decantato (da altri italiani, una garanzia) paesino asseritamente di tipico stile provenzale Les-Baux-de-Provence (senza il "Les" davanti e tutti i trattini il navigatore si ostina a fare orecchie da mercante). Il villaggio, situato in tanta mona in mezzo a bastioni di bauxite - minerale che proprio dal paesino trae il suo singolare nome, credo ricollegabile alla stessa radice del lombardo "bauscia"), ospita 500 anime e un castello diroccato, ma soprattutto si rivela una micidiale macchina per inchiappettare sprovveduti turisti.

A ogni angolo negozietti tutti uguali di armature vere e finte, di sacchetti di lavanda, di ceramiche grossolane, e soprattutto di tristissime cicale di ogni misura, colore, foggia e materiale, che friniscono o stanno mute: c'è infatti la "cigale radar", che comincia fastidiosamente a gracchiare appena si avvicina qualcuno, e la "cigale qui vous laisse tranquille", che è invece sprovvista del sofisticato meccanismo e, per questo, naturalmente costa di più. Da notare la suggestiva ragione sociale di uno di questi negozi, "Lou Cigaloun", che ci ricorda le meraviglie delle lingue neolatine. Alla fine persino mia madre, feroce oppositrice del folk-trash in tutte le sue manifestazioni, si è fatta abbindolare da un'improvvisata imbonitrice, che l'ha indotta all'acquisto di una sorta di saponetta profumata a forma di UFO il cui supporto, manco a dirlo, è costituito da un'enorme cicala violacea. Costo totale del pacchetto: 20€.

Al ritorno a Aix da questa pessima spedizione ci siamo tuffati nella pazza folla del sabato pomeriggio per uno shopping sfrenato (leggi: acquisto di vaso di Nutella formato famiglia e quantità ospedaliera di baguette) e una cena dai vietnamiti. Oltre a provare ovvie soddisfazioni gastronomiche, il mio ego è stato titillato quando la cameriera (una leggiadra gialletta coi dentoni da coniglietta che aveva preso decisioni drastiche in materia di acconciatura) mi ha chiesto se per caso non fossi io quello che era venuto da solo un paio di settimane prima. La ragazza ha occhio, e a mandorla per giunta. L'ho sempre detto che l'Oriente è il posto per me. Qua sono l'ultima delle merde, ma da qualche parte nel mondo...

Il secondo giorno, ossia la domenica della Sacrosantissima Pasqua di Risurrezione di Nostro Signore il Figlio d'Iddio, è stato dedicato, o meglio consacrato, alla visita di Les-Fontaines-de-Provence (idem come sopra quanto ad articoli e trattini), ove il sommo Petrarca trascorse ben 16 anni della propria esistenza - presumibilmente dopo aver tentato (e fallito, ça va sans dire) per l'ultima volta di farsela calare dall'integerrima Laura. Un'altra trappola per turisti, dove anche l'aria che si respira è a pagamento. Mi sono chiesto se le cose stanno così anche in Italia... poi mi son detto che da tempo non ho più il polso della situazione quanto a luoghi turistici o di frequentazione a sfondo confessionale. Ciliegina sulla merda, il posto è infestato da una quantità inverosimile di italiani. Premio del giorno alla vecchiarda padovana che mi interrogò sulla distanza che la separava dalla famosa fonte che dà il nome al paese rivolgendosimi con le seguenti parole: "Eo 'ncora tanto lontano? No, parché mi gò el fià longo!"

Lasciando questo luogo pregno di poesia e di colore dialettale ci dirigiamo a Carpentras, paesotto famoso - a quanto pare - solo perché diventata residenza degli alti prelati che, ai tempi della cattività avignonese, non riuscivano a trovare posto per le loro nobili chiappe nella sovraffollata città papale. E qui, non certo per astio nei confronti del clero, sia ben chiaro, ma consentitemi una deliziosa caduta di stile: spregevoli palandrane dalla composizione stercoraria, pornocrati poltronari lappanatiche di un pastore tedesco, io auspico che, come nella Spagna del '36, si torni a invitarli garbatamente a spaccarsi la schiena nei campi, a degna conclusione di un'esistenza incomprensibile e parassitaria. Ite, missa est.

Carpentras, in ogni caso, è una città fantasma, abitata con ogni evidenza solo da arabi che si aggirano con l'usuale caprina indolenza. Ma i morsi della fame cominciano a farsi sentire, e solo alla fine di una lunga ricerca localizziamo l'unico esercizio aperto: un ristorante cinese. Beh, cinese come me: le fisionomie e le complessioni dei camerieri urlano "Saigon!" Comunque i gialli - che, semmai fosse necessario ribadirlo, continuano ad acquistare punti nella mia personale classifica delle civiltà globali, seguiti a stretto giro di posta dai giudei che se ne sbattono di Yahweh, come Chomsky e i fratelli Coen - ci servono quello che diventa il nostro pranzo di Pasqua: è in questa occasione che mia madre ha modo, come conseguenza di una imperdonabile leggerezza al momento di ordinare, di testare l'indigestibilità del famigerato involtino primavera alla vietnamita, per capirsi quello crudo, diaccio e avvolto in una pasta trasparente dall'aspetto malaticcio. Mio padre, invece, armeggia con infruttuosa pervicacia con le bacchette, finché - cosa mai vista - la pingue cameriera, mossa a compassione, non gli propone il cambio con forchetta e coltello.

A seguire visita-lampo ad Avignone, città in cui - se non fosse per il rispetto che porto agli abitanti d'Oltralpe e che mi impedirebbe di conferire disgustosi rifiuti nel loro territorio - i papi e il loro seguito ce li rimanderei anche subito a calci nel culo. Pioviggina, fa un freddo siberiano (che pagherò il dì appresso, quando verrò colto dalla temibile vendetta di Montezuma, o morbo di Zelarino che dir si voglia), tira un vento degno degli spettacoli del petomane Joseph Pujol, e per giunta in ogni angolo si annidano italiani con seri problemi di controllo dell'apparato fonatorio. Il rientro a Aix è repentino e dà l'occasione per concludere in bellezza con una cena allo "Chez Grand-mère", cucina asseritamente provenzale e in ogni caso impeccable, nonché cameriere sosia dell'ultimo Eric Clapton ma con le tendances di Elton John da inizio carriera a oggi.

La mattina dopo i miei prendono il largo, soddisfatti e rassicurati dal fatto che tra due settimane sarò brevemente a casa (quanto sembrano lontani i tempi in cui sbarcarono in Cina in piena SARS con la manifesta intenzione di portarmi via a forza...), e io torno a dedicarmi ai miei piaceri da raffinato esteta: doccia infinita, regolatina al baffo, rutto libero, pastis con ghiaccio a tutte le ore del giorno, e per finire momento lettura in attesa che finisca il ciclo delicato nella laverie di Rue des Bernardines... nome suggestivo (prodigi, è il caso di dirlo, della toponomastica) che spero mi porti fortuna, e poi nei film americani nelle laverie si cucca sempre, no? Stavolta alle lavatrici si avvicendano, nell'ordine: uno sfighetto di stile parigino con barba di tre giorni e aria pseudo-intellettualoide, un americano presumibilmente tatuato fino al prepuzio che emana un fetore sinceramente intollerabile, una probabile lesbica vestita tutta militare e una torva balenottera con chignon tipo Tordella. Sarà per la prossima volta.

Per la cronaca, il fiasco (ora vuoto) di Chianti ora fa bella mostra di sé sui ripiani della libreria dei miei sovrastanti vicini. Risolte le iniziali incomprensioni - dovute, come ricorderete, al lancio di una zucca rinsecchita sulla finestra della mia cucina nel corso dei baccanali di un sabato sera - si sono rivelati personcine umili e tutto sommato meritevoli, se non di rispetto, almeno di una infastidita sopportazione. Così, alla fine di una serata di chiacchiere e consumo di cibi e bevande, il più giovine dei tre ha ripetutamente espresso sincero apprezzamento per lo stile e il design del fiasco in questione, asserendo l'impossibilità di trovare un simile manufatto in terra francese. Incredulo, ma contento di liberarmi così a buon mercato dell'antiestetico contenitore impagliato, l'ho magnanimamente elargito ai miei giovani colleghi, guadagnandomi così la loro imperitura riconoscenza.

Simm' e Napule, paisà.

  • Bugo, Golia e Melchiorre
  • Unida, Coping with the Urban Coyote
  • Pantera, Far Beyond Driven
  • Orange Goblin, Time Travelling Blues

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