venerdì, maggio 04, 2007

Vecchi cani e mele istoriate

In questi stanchi giorni di fine semestre, mentre le lezioni serali si avviano verso una meritata conclusione e i già sparuti gruppetti di corsisti si assottigliano sempre più, sedotti da temperature miti e accoglienti divanetti, esiste purtuttavia una categoria in controtendenza.
Gli studenti stranieri di italiano, in primis i miei adorati cinesini, lungi dal cedere alle lusinghe di una piacevole serata domestica, sono anzi vieppiù stimolati dalla bella stagione a inforcare il velocipede e a raggiungere giulivi il santuario scolastico. Ivi vengono illuminati – in questo caso l’idea di bodhi è quanto mai utile ed evocativa – sui segreti della lingua del bel paese là dove 'l sì suona, grazie ai provvidi sforzi di un mio saggio collega.

Così, mentre poche aule più in là io mi scervello per far entrare in testoline assai poco capienti la differenza tra she e her, l’illustre educatore inculca in quei cranietti gialli le nozioni più astruse servendosi di quanto spontaneamente gli offre la quotidianità del mondo contadino: i verbi diventano più semplici se si hanno sotto gli occhi delle belle patate, il soggetto non è più un dramma se impersonato da una succosa pera Williams, e persino una mela può operare il miracolo di far cogliere la differenza tra un aggettivo e un sostantivo.
Ma il frutto che poco prima ha permesso il risveglio delle coscienze linguistiche può presto trasformarsi in veicolo di turpi contumelie: e così, qualche tempo fa, al termine di un irripetibile cazziatone all’indirizzo di un turbolento giovine Fujianese, ecco comparire su un’innocente mela Golden una fila di minacciosi ed enigmatici caratteri.

Un esame autoptico della misteriosa iscrizione, condotto dal sottoscritto dietro richiesta del collega, ha ben presto svelato il mistero: i quattro scarabocchi celavano la scritta 我操老狗, che i soci sinologi ben sanno tradursi come "io fotto il vecchio cane", ossia, in termini ancora più prosaici, "vaffanculo, vecchio figlio di puttana".
Tutto sarebbe potuto finire lì, con la grassa risata del mio collega che, da conoscitore del mondo e dell’umana natura qual è, si dimostra incline a perdonare le debolezze altrui ben più del sottoscritto, e che anzi ha apprezzato la creatività insita in un’iscrizione tanto originale realizzata su un supporto vegetale. Io invece, ormai schiavo dei meschini istinti che animano – ahimè – più di un aspirante dottore di ricerca, ho intrapreso delle ricerche volte a indagare il retroterra della pomocontumelia.

I risultati sono stati a dir poco sorprendenti, e pertanto voglio renderne partecipi i lettori assetati di sapere sul tema "cultura e turpiloquio": esaminando la produzione del signor Lu Xun, padre della letteratura cinese moderna, mi sono imbattuto nel saggio dal titolo 论 "他妈的", "A proposito di di sua madre", che analizzando la natura profonda dell’insulto nazionale cinese (per l’appunto 他妈的, "di sua madre") trova il tempo di proporci questo excursus nella scurrilità dei classici cinesi, che riporto nella bella traduzione di Edoarda Masi:

这"他妈的"的由来以及始于何代, 我也不明白。经史上所见骂人的话, 无非是"役夫", "奴", "死公"; 较厉害的, 有"老狗", "貉子"; 更厉害, 涉及先代的, 也不外乎"而母婢也", "赘阉遗丑"罢了!

Non ho chiaro in che epoca sia cominciato questo "di sua madre!". Gli insulti che si incontrano nei classici non sono altro che: "servo", "schiavo", "cadavere"; più forti, "vecchio cane", "tasso"; ancora più forti, si riferiscono agli ascendenti, ma non altro che "serva tua madre", "figlio d’eunuco!".

Il mio collega dovrebbe essere estasiato: vuoi vedere che il giovine Fujianese è in realtà un cultore di letteratura cinese classica? Se io a lezione di inglese cito il nome di Shakespeare, minimo minimo mi bloccano dicendo che non sono lì per insegnare filosofia.

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